Il danno morale da morte nella responsabilità medica, e inammissibilità del parametro della aspettativa di vita del paziente deceduto

Affrontiamo con questo articolo un percorso di riflessione in riferimento alla correttezza intellettuale o meno, nel rapportare le possibilità che in ogni caso un paziente avrebbe avuto di sopravvivere a causa di suo precedente stato di salute ovvero patologia, all’entità del risarcimento del danno ai congiunti in caso di decesso riconducibile ad errore sanitario successivo.
Il riferimento di quanto sopra, per dovere di precisione, non è alla possibilità di sopravvivenza bensì alla aspettativa di vita, che come vedremo sono concetti esclusivi e diversi fra loro.
Trattasi infatti di parametro, l’aspettativa di vita del deceduto appunto, non riconducibile all’illecito, tuttavia spesso utilizzato e considerato dai liquidatori sinistri, oltre che dalla magistratura stessa, nella ponderazione equitativa dell’entità del danno morale da lutto da risarcire ai congiunti nel caso di responsabilità medica che abbia portato al decesso.
In primo luogo è opportuno iniziare le nostre riflessioni applicando una distinzione fra due casistiche differenti.
La prima riguarda il caso di soggetto affetto da patologia grave che avrebbe potuto portarlo ad una morte prematura, e che invece decede a seguito di errato intervento sanitario che non era tuttavia finalizzato a curare la patologia stessa, bensì altra e diversa preesistenza.
Tale casistica nella realtà concreta è riconducibile anche a tutte le altre circostanze di fatto accidentale violento che per responsabilità di terzi portano alla lesione ovvero al decesso di soggetto affetto da grave patologia, quale ad esempio un sinistro stradale ovvero un infortunio sul lavoro occorsi ad un malato grave.
In tale circostanza l’aspettativa di vita potenziale del de cuius, deceduto per altra causa quale un incidente ovvero un errore sanitario operatorio finalizzato a curare altra patologia, non deve condizionare l’entità del risarcimento, nonostante, a seconda dell’interlocutore di controparte con cui si gestisce la trattativa, in alcuni casi si incorra in pretestuose eccezioni al riguardo.
Si pensi al caso di soggetto affetto da gravissima patologia, con possibilità concrete di morte prematura, tuttavia investito da auto in corsa e che a seguito dell’impatto deceda immediatamente: in tale caso ritenere che sia consentito alla Compagnia di Assicurazione del veicolo investitore di rapportare l’entità del risarcimento ai congiunti alla sua patologia pregressa, ipotizzando una inferiore aspettativa di vita a prescindere, è inaccettabile ed ontologicamente errato.
Analoghe considerazioni pertanto, per mero sillogismo, valgono nel caso in cui il decesso non sia determinato da un sinistro stradale, bensì da un errore sanitario riconducibile ad un intervento di cura per patologia e invalidità diversa da quella grave di cui era già affetto.
Al riguardo inoltre è bene precisare che quanto sopra ha valore anche nei casi in cui la patologia grave pregressa possa avere reso il paziente maggiormente debole da un punto di vista fisico e organico in relazione all’intervento operatorio errato.
Infatti le sue condizioni fisiche preesistenti, anche qualora lo abbiano indebolito in modo significativo nell’affrontare il diverso e successivo intervento operatorio con conseguenze mortali, potranno semmai assurgere a componente concausale del decesso, ma non possono e non devono consentire nella quantificazione del risarcimento del danno ai congiunti, speculazioni di controparte ed inaccettabili abbattimenti dell’importo da liquidare, in rapporto alla potenziale aspettativa di vita del deceduto.
La seconda casistica del tema che stiamo trattando riguarda l’errore sanitario che si consuma nel contesto di intervento e cura riconducibile alla grave patologia stessa di cui era affetto.
In tale caso possiamo affermare che la fattispecie è inquadrabile nel risarcimento del danno da cosiddetta “perdita di chances da sopravvivenza”.
Pure prescindendo in tale sede da considerazioni relative ai fondamenti sostanziali della “perdita di chances”, è necessario tuttavia premettere per ausilio di comprensione, che il risarcimento di tale danno necessariamente tiene conto e valorizza in relazione alla sua stessa quantificazione, la percentuale di possibilità di sopravvivenza, indicata dal medico legale, che il paziente avrebbe avuto qualora l’intervento fosse andato a buon fine.
Necessita pertanto interrogarsi nel richiamato caso sulla correttezza di cumulare all’applicazione di tale percentuale nella quantificazione del danno, anche un ulteriore abbattimento riconducibile alla durata della successiva aspettativa di vita se il paziente fosse sopravvissuto.
A titolo di esempio si pensi a soggetto affetto da grave forma tumorale che probabilmente entro alcuni anni lo avrebbe portato al decesso, e che a seguito di operazione chirurgica errata e finalizzata all’asportazione del carcinoma deceda poco dopo l’intervento: in tale fattispecie l’applicazione dei parametri di calcolo del danno da perdita di chances per i congiunti rendono legittimo l’abbattimento della percentuale di non sopravvivenza che in ogni caso vi sarebbe stata, così come indicata dal medico legale, tuttavia non si rileva comunque ammissibile, dal nostro punto di vista, un ulteriore riduzione per la presunta durata dell’aspettativa di vita residua in caso di intervento riuscito.
E’ opportuno precisare che l’inammissibilità del cumulo sopra richiamata, non è riconducibile, come si potrebbe essere tentati di affermare in modo suggestivo, al fatto che l’applicazione in abbattimento della percentuale di possibilità di non sopravvivenza, già assorbe la proiezione temporale di aspettativa di vita del de cuius, bensì è inammissibile per le stesse motivazioni per la quali non è sostenibile nel primo caso descritto di morte conseguente ad evento diverso e successivo alla patologia preesistente.
I principi di possibilità di sopravvivenza ed aspettativa di vita sono infatti sostanzialmente differenti, e pertanto non possono essere soggetti a vicendevole assorbimento.
Il nostro affermare l’inammissibilità di valorizzazione nella quantificazione del danno ai congiunti la durata temporale della aspettativa di vita del deceduto, va intesa in senso più ampio e generalizzato a tutte le casistiche.
Quanto sopra si richiama infatti al principio fondamentale e granitico nella materia della liquidazione del danno, che vede il debitore tenuto a risarcire le conseguenze del suo illecito in rapporto allo stato e alle condizioni del danneggiato su cui le ha determinate, senza tuttavia che queste ultime possano ridimensionare l’entità del risarcimento in forza di speculazioni ovvero previsioni presuntive per quanto probabili.
Inoltre, quanto meno per il metodo di approccio intellettuale della nostra Direzione Tecnica Tossani, in ambito di risarcimento del danno morale da lutto ai congiunti del deceduto, il tentativo di circoscrivere il dolore per la perdita di una persona cara alla durata di tempo in cui il congiunto sarebbe sopravvissuto non è ammissibile, fosse anche solo per la circostanza che in ogni caso l’entità del risarcimento è rapportata già alla sua età naturale al momento del decesso, in guisa al maggioritario orientamento giuresprudenziale.
E’ sufficiente pensare per meglio comprendere l’assunto, che la sofferenza per la perdita di un congiunto ovvero di una persona cara, secondo il nostro approccio giuridico della Direzione Tossani, non potrà mai e in nessun caso essere rapportata nella sua quantificazione in punto risarcimento a quanto il congiunto avrebbe beneficiato ipoteticamente nel tempo della presenza nella sua sfera di vita del deceduto, atteso che sarebbe principio aberrante, oltre che una sorta di ingiustificata duplicazione del parametro dell’età naturale del de cuius al momento del decesso, e di cui già si tiene conto al momento della liquidazione del danno.
L’applicazione pertanto nel calcolo del risarcimento del danno da morte del parametro della aspettativa di vita diversa da quella naturale anagrafica, salvo il caso in cui quest’ultima sia l’oggetto stesso del danno da valutarsi, inteso quindi come perdita di chances di durata di aspettativa vita per soggetto non ancora deceduto, che è appunto danno di altra natura, non dovrebbe mai essere ammessa e valorizzata nella quantificazione del ristoro per la sofferenza a favore dei congiunti del deceduto.
Andrea Milanesi
Responsabile tecnico
Prof. Michele Tossani srl