Il danno estetico: componente del danno biologico ma anche rilevante voce di personalizzazione

Il danno estetico (“aesthetic loss”, secondo la dizione cara ai paesi della Common Law) determina conseguenze di carattere patrimoniale, ma molto spesso anche di carattere non patrimoniale, per quanto attiene al risarcimento del danno e alla liquidazione dello stesso.
Prescindiamo in tale sede da considerazioni relative alle ricadute e conseguenze economiche e patrimoniali del danno estetico, quale può essere per esempio il caso di una modella ovvero di un attore che presenti un deturpamento del volto, e analizziamo la sola componente non patrimoniale.
Un difficile quesito riguarda quale risarcimento a titolo non patrimoniale è dovuto e in che misura, quando la lesione della integrità psico-fisica presenta una menomazione di carattere estetico, a prescindere dalla attività lavorativa svolta del soggetto leso.
Innanzitutto, va premesso che la menomazione, per essere considerata rilevante, deve essere percepibile dai terzi, con conseguente modificazione peggiorativa dell’apprezzamento della società nei confronti del soggetto leso. Sotto il profilo della responsabilità civile, deve farsi riferimento ad ogni pregiudizio arrecato alla funzione estetica che, come noto, svolge una funzione di primaria importanza nei rapporti interpersonali dell’individuo e di libera esplicazione della personalità nelle “formazioni sociali”, per parafrasare l’art. 2 del Dettato Costituzionale. Inoltre, la Costituzione all’art. 32, nel riconoscere la tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo, lo descrive come bene strumentale necessario alla protezione e allo sviluppo della personalità dell’individuo.
Trattasi pertanto di un significato più ampio di quello inerente il “danno biologico”, di origine medico-legale e teso a indicare la lesione psico-fisica dell’individuo e codificato, negli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni. Pertanto, possiamo affermare che non solo il viso, ma tutto il corpo svolge una “funzione comunicativa”.
La Cassazione civile 8 maggio 1998 n 4677, sentenza fondamentale e spartiacque storica al riguardo, ha rilevato che “allorché si dice che il danno estetico è una componente del danno biologico, questa affermazione ha come conseguenza che, di detta componente, si tenga conto nel liquidare il danno biologico”, procedendo pertanto e in ogni caso alla contestuale personalizzazione (all’epoca della pronuncia con riferimento al “valore a punto”, attraverso un sistema di appesantimento del punto, adottando cioè un valore punto più alto rispetto quello che sarebbe normalmente utilizzato per un danno di quella gravità).
Inoltre la Corte di Cassazione secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, le quali, come è noto, hanno sancito il principio dell’unitarietà del danno non patrimoniale, afferma da anni che il danno da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici, con la conseguenza che diviene inammissibile (perché costituisce una duplicazione risarcitoria) l’attribuzione alla vittima di lesioni personali, del risarcimento per il danno biologico, separatamente da quello cosiddetto estetico, parimenti a quello alla vita di relazione ovvero cosiddetto danno esistenziale.
Se dunque il danno estetico deve rientrare in quello biologico, determinando in alcuni casi anche un incremento dei punti in percentuale della invalidità permanente residua, allora è necessario tuttavia considerare la compromissione estetica nella valutazione di tale danno al fine di una corretta personalizzazione.
È questo il fine che deve essere perseguito affinché venga dato giusto riconoscimento a detta voce di danno di notevole importanza nell’esplicazione della personalità dell’individuo come singolo e nelle formazioni sociali. Si pensi al riguardo che il soggetto leso, non di rado, sviluppa delle turbe di ordine psichico, aventi un vero e proprio carattere morboso.
Tuttavia, nonostante l’ormai indiscussa unitarietà del danno non patrimoniale, assorbente pertanto anche il danno estetico, quest’ultimo rappresenta certamente la forma più complessa e meno codificabile secondo rigidi schemi e parametri valutativi della medicina legale, per l’estrema variabilità soggettiva delle alterazioni fisionomiche correlate non solo alla conservazione dei semplici tratti somatici, ma anche al mantenimento dell’armonia e della personalità espressiva del soggetto.
Si deve pertanto, tenere adeguato conto non solo dell’integrità morfologica, ma anche della conservazione della completa “efficienza estetica intesa come capacità mimico-espressiva e proiezione esterna della personalità dell’individuo” compresa, a mio avviso, anche l’estetica che discende da una capacità motoria normale per come percepita in società.
Si pensi a soggetto leso in via tanto grave da risultare claudicante per tutta la vita, e che, pure in difetto di manifestazioni cicatriziali in volto, percepisca con angoscia la sua condizione in rapporto alla propria apprezzabilità sociale ed esteriore.
È per questi motivi che vi è sempre stata una rilevante difficoltà a predisporre tabelle atte a ricondurre il danno estetico entro schemi già predisposti e prefissati dalla scienza medico-legale.
Pertanto, in caso di lesione che interessa l’aspetto esteriore del soggetto nella sua accezione più ampia come sopra descritta, diviene assolutamente necessario, oltre al mero aspetto della incidenza in termini di punteggio in relazione al danno biologico puro, che sia valutato attentamente ogni singolo caso in relazione sia alle caratteristiche somatiche (età, sesso, stato anteriore), che alle particolarità espressive, anche psicologiche e sociali, da consentire una corretta valutazione delle conseguenze esistenziali e dinamico relazionali, che solo l’istituto della personalizzazione equitativa del danno consente di cristallizzare.
Dott. Andrea Milanesi
Responsabile tecnico