Cenestesi Lavorativa

Per danno alla cenestesi lavorativa si intende quella modificazione della condizione di confort lavorativo, conseguente a una o più lesioni subite e menomazioni residuate ad un determinato soggetto in conseguenza dell’azione di una noxa lesiva, con necessità quindi di maggiore impegno e profusione di maggiori risorse “usura”, nell’espletamento delle mansioni lavorative in precedenza praticate.
Nella categoria del danno non patrimoniale sono rappresentati – come noto – il danno biologico, il danno estetico, il danno psichico, il danno esistenziale, il danno alla vita di relazione, il danno morale, il danno da perdita di chances ed anche il danno lavorativo generico.
Il danno lavorativo specifico appartiene invece alla categoria del danno patrimoniale (poiché incide – almeno in astratto – sul patrimonio del danneggiato).
La cenestesi lavorativa è però cosa diversa sia dal danno lavorativo generico (ovviamente), sia dal danno alla capacità lavorativa specifica; quest’ultimo, infatti, incide sul patrimonio del danneggiato, proprio perché il soggetto risulta impossibilitato totalmente o parzialmente a svolgere le mansioni svolte prima del sinistro.
La lesione della cenestesi lavorativa consiste invece in una maggiore usura, fatica e difficoltà nello svolgimento della medesima attività lavorativa in precedenza praticata, senza peraltro impedirla né in tutto né in parte e dunque senza riflesso sulla redditualità del soggetto stesso.
Il focus dunque è che il soggetto continua a svolgere le precedenti mansioni, sebbene sfruttando il proprio organismo in modo più intenso, con conseguente “usura” delle proprie energie di riserva.
In altre parole, il soggetto leso, pur continuando a svolgere le medesime attività poste in essere prima del sinistro e, dunque, in condizione di percepire eguali redditi, profonde però maggiore fatica e utilizza maggiori risorse nel compierle.
Non trattandosi di danno alla capacità del danneggiato di produrre reddito, esso non potrà dunque essere risarcito come danno patrimoniale, ma neppure – a mio avviso – come categoria di danno non patrimoniale (men che meno come danno lavorativo generico).
“… che la vittima conservi il reddito, ma lavori con maggior pena. E’ questo il danno da lesione della cenestesi lavorativa e cioè la compromissione della sensazione di benessere connessa allo svolgimento del proprio lavoro. Ora, non par dubbio che il danneggiamento della cenestesi lavorativa si presterà di regola a essere risarcito attraverso un appesantimento del risarcimento del danno biologico, in via di personalizzazione cioè, a meno che la maggiore usura, la maggiore penosità del lavoro non determinino l’eliminazione o la riduzione della capacità del danneggiato di produrre reddito, nel qual caso, evidentemente, il pregiudizio andrà risarcito come danno patrimoniale (Cass. n. 20312 del 2015)”.
Ci troviamo evidentemente in una zona di confine fra aspetti dinamico relazionali del danno non patrimoniale e danno lavorativo specifico propriamente detto, configurandosi dunque una fattispecie del tutto specifica, che non soddisfa i requisiti nell’una né nell’altra, talché si può serenamente affermare che il danno alla cenestesi lavorativa rappresenti a pieno titolo una categoria autonoma di danno alla persona e come tale meritevole di autonomo risarcimento.
Dovrà esso dunque essere necessariamente autonomamente valutato, per la quota-parte – va specificato – e solo per quella di danno biologico residuato attinente la maggiore usura lavorativa, trovando conseguente adeguato ristoro.
Dott. Pierfrancesco Monaco