Danni causati da cane randagio
Come definire la responsabilità del Comune?
In caso di danni provocati da animali randagi, chi è responsabile del danno subito? È possibile attribuire la responsabilità, o una parte di essa, alla negligenza del Comune nel vigilare su questi animali?
Il caso in questione si è occupato proprio di stabilire quando il Comune è da considerarsi causa del danno e in quali misure. La vicenda di cui si parla vede come sfortunato protagonista un automobilista che incorre in un incidente stradale a causa dell’attraversamento improvviso di un cane randagio.
Per questa ragione, il danneggiato richiede al Giudice di Pace che gli venga concesso un risarcimento danni da parte del Comune e dell’Asl competente. La Corte però rigetta la domanda a causa di una mancanza di prove riguardo la dinamica del sinistro.
L’automobilista decide dunque di ricorrere in Appello, ma anche in questo caso la richiesta viene rigettata e la vicenda finisce all’attenzione della Corte Suprema.
Responsabilità dell’ente e onere della prova
Anche la Corte Suprema conferma la sentenza. Dal momento che la responsabilità non può essere valutata come valore oggettivo ma è variabile in base alle situazioni e ai casi specifici, risulta essere compito del danneggiato dimostrare che effettivamente la condotta della controparte è stata negligente.
Nel caso specifico in questione, la Corte stabilisce che, “applicando i principi generali in tema di responsabilità per colpa di cui all’art. 2043 del Codice Civile, non è sufficiente – per affermare la responsabilità in caso di danni provocati da un animale randagio – individuare semplicemente l’ente preposto alla cattura dei randagi e alla custodia degli stessi”. In altre parole la Corte definisce irrealistico il pensare ed esigere che la pubblica amministrazione effettui un controllo del territorio tanto capillare e tempestivo da impedire in termini assoluti la possibilità che un animale randagio si trovi effettivamente sul territorio.
Viene dunque rigettato nuovamente il ricorso del danneggiato.
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza n. 11591/18; depositata il 14 maggio)
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