Il danno da riduzione della capacità lavorativa nella duplice espressione di generica e specifica

L’esame della nozione di capacità lavorativa, così come ricostruita dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recenti, presuppone distinguere la nozione di capacità lavorativa generica da quella specifica.
Il concetto di incapacità lavorativa generica si riferisce ad una ridotta attitudine del soggetto a produrre beni con riferimento ad una attività lavorativa di tipo manuale-generico.
Tuttavia, il concetto di capacità lavorativa generica, come già da lungo tempo evidenziato dalla dottrina, non può essere applicato a diversi ambiti professionali, attesa la grande differenza di impegno intellettuale e manuale proprio delle diverse occupazioni (da quelle del palombaro all’avvocato, dal dirigente di azienda al programmatore).
Il principio di incapacità lavorativa generica è stato infatti definitivamente superato dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1986 in materia di danno alla persona, punto di partenza fondamentale in materia.
La sentenza, infatti, ha introdotto la nuova categoria del danno biologico inteso come danno evento determinato dagli esiti di lesioni produttive di un deterioramento della integrità psicofisica preesistente del soggetto in senso molto più ampio.
In questo modo, sono venuti a far parte del danno biologico, con conseguente diritto risarcitorio nell’ambito di esso, il danno estetico, quello sessuale, e tutte le turbe comunque interagenti nei rapporti socio-ambientali del soggetto.
In tale ambito valutativo del danno biologico nel suo complesso hanno così iniziato ad essere ripetutamente contenute le richieste risarcitorie formulate a titolo di riduzione della potenziale attitudine alla attività lavorativa ed a prestazioni lavorative generiche ove non era possibile dimostrare una perdita effettiva della capacità a produrre reddito.
In guisa a tale orientamento, si è inserita negli anni la Suprema Corte, ribadendo che la capacità lavorativa generica, intesa quale potenziale attitudine all’attività lavorativa da parte di un soggetto non percettore di reddito né in procinto di percepirlo, deve ricondursi al danno biologico che ricomprende tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene della salute in sé considerato.
Appare evidente che se l’individuazione del danno biologico come categoria unitaria, estensibile a tutti i soggetti che devono essere risarciti di un danno psicofisico, indipendentemente dalla loro collocazione professionale e dalla loro capacità a produrre reddito, riassorbe il vecchio concetto del danno alla capacità lavorativa generica, necessita tuttavia l’esigenza di individuare la metodologia adeguata al riconoscimento del danno alla capacità lavorativa specifica ovvero di un danno che, almeno in linea teorica, è capace di incidere sulla capacità produttiva del soggetto.
Dottrina e giurisprudenza, dal 1986 ad oggi, hanno sempre manifestato una certa difficoltà nello stabilire questa voce di danno.
Infatti, il termine “specifica” dovrebbe tenere presente l’attività lavorativa realmente svolta dal soggetto, rapportata al reddito da essa prodotta.
È stato più volte ribadito che si tratta di un duplice accertamento sia di tipo medico-legale che strettamente giudiziario.
Spetta all’ambito giudiziario verificare, attraverso la raccolta di prove adeguate, se, come dettato dall’art. 2697 C.C., tale impedimento psicofisico, individuato dal medico-legale, nella circostanza concreta ha determinato un danno patrimoniale risarcibile.
In altre parole, il medico legale in ordine al danno alla capacità lavorativa specifica può esprimere solo un parere orientativo, basato sugli elementi tecnici a sua disposizione, ma spetta sempre all’istruzione del singolo caso la valutazione delle prove relative alla perdita di capacità produttiva, prove il cui onere incombe ovviamente sul danneggiato.
Alla luce di tali osservazioni dottrina e giurisprudenza hanno avuto cura di individuare la nozione di capacità lavorativa specifica.
La riduzione della capacità lavorativa specifica, intesa quale attività in concreto svolta dal danneggiato, costituisce danno patrimoniale risarcibile autonomamente qualora provochi una riduzione della capacità di guadagno.
Ad avviso della giurisprudenza ormai costante, la perdita della capacità lavorativa specifica si differenzia dalla incapacità lavorativa generica, ricompresa nel danno biologico, che considera la perdita della concorrenzialità della persona, oltre che la sua generale attitudine al lavoro, in relazione alla menomazione della sua integrità psicofisica.
Ne consegue la necessità di un’autonoma liquidazione di ciascuna delle predette voci di danno, ovvero generica quale componente del danno biologico e non direttamente riconducibile ad una perdita di reddito, e specifica, in quanto riferibile alla attività professionale realmente svota dal soggetto leso.
Tuttavia, sono necessarie, per dovere di informazione agli utenti e danneggiati delle precisazioni importanti.
In primo luogo, appare evidente la non sovrapponibilità di tali voci di danno, patrimoniale, per la perdita della capacità lavorativa e non patrimoniale per il danno biologico, per cui deve, in radice, escludersi che la prima possa essere contenuta nella seconda.
La perdita della capacità lavorativa infatti va considerata unitariamente e non è possibile duplicare le voci di danno, nel senso che, ove riconosciuta la perdita della capacità lavorativa specifica, per un soggetto che già svolge o è in procinto di svolgere un lavoro, non vi è spazio per la liquidazione della capacità lavorativa generica, assorbita nella concreta valutazione di quella specifica.
In ultimo, ma non meno rilevante, è doveroso precisare che, diversamente da quanto accadeva in alcuni orientamenti di qualche anno fa, per essere riconosciuta in termini di monetizzazione del danno, l’incidenza sulla attività lavorativa specifica non può essere solo “potenziale e ipotetica”, ovvero non può essere liquidata solo perché prevista dal medico legale, necessitando in ogni caso la prova di una reale ed effettiva perdita di reddito a mezzo di comparazione fra le dichiarazioni di redditi prima e dopo l’evento storico da cui è scaturito il danno, e che solo dopo avere dato detta prova si potrà proiettare nel tempo futuro in via presuntiva le perdita di guadagno del soggetto leso.
Andrea Milanesi
Responsabile tecnico