Breve inquadramento e analisi del danno psichico correlato ad una lesione subita

Nella storia della nostra giurisprudenza la prima volta in cui è stato riconosciuto in via ammissibile un danno permanente diverso da quello puramente organico, bensì riconducibile ad una lesione psichica e non solo fisica, era il lontano 1986 con una sentenza della Corte Costituzionale.

Trattasi del danno biologico psichico definito come “ la compromissione durevole di una o più funzioni della personalità, intellettive, emotive, affettive, volitive, di capacità di adattamento e di adeguamento, di relazionarsi con gli altri, che possono giungere fino a condotte devianti, etero o auto aggressive, e che incide (o non incide) anche sul rendimento lavorativo”, provocato da un evento traumatico di natura dolosa o colposa, che limita notevolmente ed in maniera durevole l’esplicazione di alcuni aspetti della personalità nel regolare svolgimento della vita quotidiana

Il danno psichico pertanto arriva ad alterare l’equilibrio interno dell’Io e le modalità di relazionarsi con l’esterno e va quindi distinto dal danno morale, che nella sua definizione indiretta di cui all’ art. 185 c.p. si individua come uno stato di tristezza e prostrazione causato dal trauma,

Significativa al riguardo la pronuncia della Corte Costituzionale con sentenza n. 233/2003 ove il danno morale viene identificato con la “sofferenza”, cioè con lo stato di sconforto e abbattimento provocato dall’evento dannoso e che affligge e disturba per un breve lasso di tempo la vita quotidiana, rendendola un peso da sostenere con difficoltà.

Diversamente in via più incisiva e stabilizzata il danno psichico impedisce, temporaneamente o permanentemente, alcuni o molti degli aspetti della vita quotidiana, e che in ogni caso va a sua volta distinto del danno esistenziale, inteso quest’ultimo, come un’alterazione in senso peggiorativo del modo di essere di una persona nei suoi aspetti sia individuali che sociali.

La distinzione fra questi due voci di danno non patrimoniale trova il suo fondamento nell’assunto per cui il danno psichico determina anche un danno esistenziale, mentre un danno esistenziale non implica necessariamente anche la presenza di un danno psichico.

In sintesi e per maggiore semplicità possiamo riepilogare affermando che il danno morale consiste nella sofferenza interiore soggettiva intrinseca all’avere subito un danno fisico, e che quando questa sofferenza si incardina in uno stato di continuità grave da determinare la stabilizzazione di sintomi di disfunzione nell’equilibrio emotivo ed intellettivo personale ci troviamo di fronte ad un danno biologico psichico, dal quale discende a sua volta nel concreto un disagio nella gestione della quotidianità della vita, che possiamo definire danno esistenziale.

Ricorrono pertanto delle casistiche dove il danneggiato può avanzare richiesta di risarcimento per tutte e tre tali poste di danno non patrimoniale, e che in talune circostanze sono tecnicamente cumulabili nella loro specifica e dedicata quantificazione, proprio perché, pure essendo spesso vicendevolmente correlate, sono ontologicamente distinte nella loro esegesi giuridica.

E’ in ogni caso compito del patrocinatore e del professionista legale a cui il danneggiato si è rivolto, fare attenzione a questa distinzioni e sapere leggere le circostanze, oltre che con l’ausilio del medico legale comprendere se vi sono i presupposti delle cumulabilità a seconda del danneggiato che si assiste e delle sue condizioni.

Naturalmente è anche doveroso affermare che il cumulo sopra richiamato di tali poste di danno nel contesto del risarcimento dello stesso evento lesivo, pure possibile e giustificabile, non è agevole da ottenere e valorizzare, proprio perché il limite e il confine fra loro non è sempre bene individuabile, soprattutto per quanto riguarda il danno biologico psichico.

Infatti il danno psichico richiede per il risarcimento come lesione dell’integrità psichica e le conseguenti mancate utilità non patrimoniali un accertamento medico legale, e procedere alla sua quantificazione, in modo tale da assicurare l’integralità del risarcimento non è sempre agevole soprattutto in un contesto di valutazione complessiva della lesione nella sua interezza, che comprende anche e soprattutto anche la componente organica della visus lesiva.

Infatti si rivela spesso complesso lo stabilire con certezza la connessione causale tra un certo fatto ed un disturbo psichico, tanto che lo psicologo esperto in psicologia forense è tenuto a procedere a una corretta diagnosi differenziale, comparando lo stato dell’Io del danneggiato all’attualità post trauma con quello delle fasi precedenti.

Tuttavia la medicina legale negli anni ha indicato alcuni criteri utili non tanto alla quantificazione del danno e al relativo punteggio di invalidità permanente da riconoscersi, bensì e appunto, all’accertamento del nesso di causalità e dell’idoneità o efficienza lesiva dell’evento che si valuta con l’entità del preteso danno fisico e/o psichico subito.

Tra i principali, e maggiormente applicati e valorizzati richiamiamo il criterio cronologico, che valuta il tempo intercorso tra l’evento e il manifestarsi del danno, il criterio topografico che valuta la corrispondenza tra il distretto organico offeso dall’evento e le lesioni accertate, il criterio di continuità fenomenologica, che verifica se sussista o meno soluzione di continuità tra la condotta illecita lesiva e le conseguenti graduali e distribuite nel tempo manifestazioni del danno, accertando l’assenza di altre cause che possano aver interrotto il nesso di causalità con l’evento dannoso.

In ultimo e non meno importante si ricorda il criterio statistico epidemiologico, che verifica con quale frequenza un determinato effetto psichico scaturisce da un determinato evento traumatico.

Diversi criteri invece ricorrono come utilizzabili in medicina legale, non più per stabilire il nesso di causa fra evento e danno psichico, bensì per quantificarlo. Al riguardo vi sono quattro indici di riferimento: l’intensificazione e permanenza, a distanza di un anno di sintomi nell’ambito delle funzioni cognitive e della vita affettiva, la presenza di sintomi psicopatologici più gravi quali idee di suicidio, frequenti attacchi di panico, ovvero la diminuzione delle capacità critiche nell’esame della realtà con alterazioni gravi del comportamento, e in ultimo la significativa alterazione della comunicazione.

Andrea Milanesi
Responsabile tecnico
Prof. Michele Tossani srl

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